Via Italiana al Socialismo
E' stata nel pensiero e nell'azione di Togliatti, un percorso, un processo politico, da avviarsi con la Costituzione, e cioè dall’idea togliattiana della Costituzione come processo, come programma politico di costruzione di un modello di democrazia, dentro il quale si devono riconoscere sia le forze politiche che le forme politiche della democrazia e al di fuori del quale si devono collocare tutte le forze “antidemocratiche” da combattere.
In sostanza solo dentro il quadrato delle forze politiche che hanno voluto la Costituzione, solo dentro il perimetro totalizzante di quel programma democratico è consentita la legittimazione democratica, solo nell' "arco costituzionale" è possibile vedere e riconoscere il profilo sistemico e ideale della democrazia della nuova Italia, al di fuori c’è solo l’opacità della reazione.
In Togliatti, l’idea della via nazionale al socialismo deve trovare le “vie” per rendersi compatibile e accompagnarsi per un lungo tratto con le esperienze di liberaldemocrazia, pena lo stesso esaurimento del progetto rivoluzionario e, dall’altro, l’affievolimento dello spirito delle Costituzioni di natura liberal-borghese.
Gli interventi di Togliatti alla Costituente vanno letti come un continuo e travagliato contributo di costruzione di un ponte tra diverse visioni delle “Costituzioni delle libertà”, diverse ma non estranee, le libertà e i diritti individuali e le libertà e i diritti dei movimenti sociali organizzati. Ne è prova questo passaggio dell’intervento di Togliatti, nella seduta dell’11 marzo 1947 nel quale è evidente il tentativo di ricercare un nesso (un compromesso?) tra “vecchie” scuole costituzionali e i nuovi costituenti:
“Oserei dire che nel nostro lavoro non ci hanno dato grande aiuto i giuristi (...). Molte formulazioni del progetto sono certamente deboli, perchè giuridicamente non siamo stati bene orientati e effettivamente fu un errore non includere nella Commissione i rappresentanti della vecchia scuola costituzionalista italiana. La realtà è che negli ultimi venti o trenta anni la scienza giuridica si è staccata dai principi della nostra vecchia scuola costituzionale. In fondo quali erano questi principi? Erano da un lato i principi del diritto romano e dall’altro i grandi principi delle rivoluzioni borghesi, elaborati poi attraverso l’esperienza costituzionale dell’Ottocento. Negli ultimi venti o trenta anni, invece, sono affiorate e sono state accolte, soprattutto nel nostro paese, dottrine diverse (...) che riconoscono e collocano la sovranità non nel popolo, ma soltanto nello Stato e danno quindi ai diritti individuali soltanto un carattere riflesso.(...) E questo spiega perchè, quando abbiamo dovuto scrivere una Costituzione democratica e abbiamo chiesto l’ausilio dei giuristi, essi non sono stati in grado di darci un aiuto efficace. Per darcelo (...) bisognava che ritornassero a qualche cosa che avevano dimenticato, e non erano sempre in grado di farlo. Questo è un motivo profondo delle debolezze e del carattere equivoco di molte tra le formulazioni del testo che sta davanti a noi”.
Questa è la grande operazione politica, vincente, di Togliatti, il legame indissolubile e la formazione di un blocco unico tra democrazia-antifascismo-Costituzione; questo è il suo capolavoro e, al tempo stesso, la grande scommessa di agganciare con la formula della democrazia progressiva le grandi correnti democratiche che si alzavano dalla nuova Europa e dalle frontiere liberate dai totalitarismi.
Togliatti non risolse mai, fino al Memoriale di Yalta, il problema della democrazia.
Il modello democratico nazionale, non ha il carattere generale, classico della liberaldemocrazia ma quello particolare segnato dalla Resistenza e dalla Costituzione. Quando Togliatti parla di sviluppo democratico e di partiti (questi sono la democrazia che si organizza) non si colloca nelle semplici procedure liberaldemocratiche per la formazione del governo ma ha in mente un duro antagonismo, un contrasto frontale contro le forze reazionarie per l’attuazione del programma democratico sancito dalla Costituzione contro la quale si possono raggruppare, per l’appunto, esclusivamente tutte le forze conservatrici.
Nell'importante intervento svolto da Togliatti l'11 marzo del 1947 all'Assemblea costituente sul primo progetto di Costituzione, definisce bene il ruolo che l'antifascismo deve avere nella costruzione del modello di democrazia nazionale, nel presidio della democraticità della Costituzione e colloca la "via italiana" e la "democrazia progressiva" in questo preciso punto di incontro-scontro tra forze democratiche e reazionarie.
In sostanza l'antifascismo per Togliatti (ma per l'intera sinistra italiana perfino in quella di matrice socialdemocratica) non è semplicemente un sentimento democratico, un sentimento da alimentare di continuo con l'impegno civile e politico nella dialettica liberaldemocratica ma è il filtro selettivo delle nuove classi dirigenti, tanto più legittimate a governare quanto più ispirate dai principi “sociali” e di emancipazione.
Dice Togliatti:
" (...) noi non rivendichiamo una Costituzione socialista. Sappiamo che la costruzione di uno Stato socialista non è il compito che sta oggi davanti alla nazione italiana. Il compito che dobbiamo assolvere oggi non so se sia più facile o più difficile, certo è più vicino. Oggi si tratta di distruggere sino all'ultimo ogni residuo di ciò che è stato il regime della tirannide fascista; si tratta di assicurare che la tirannide fascista non possa mai più rinascere; si tratta di assicurare l'avvento di una classe dirigente nuova, democratica, rinnovatrice, progressiva, di una classe dirigente la quale per la propria natura stessa ci dia garanzia effettiva e reale, che mai più sarà il paese spinto per la strada che lo ha portato alla catastrofe, alla distruzione".
Ed è su questo terreno della legittimazione antifascista delle forze politiche, al quale viene attribuito un valore discriminante (dentro o fuori la democrazia) che si forma lo schema compromissorio del sistema politico nazionale, schema che sarà ripreso e sviluppato dalle due culture politiche protagoniste della Costituente: il comunismo italiano e il cattolicesimo democratico. Togliatti in quella stessa seduta dell'11 marzo '47 interviene proprio su questo punto con grande chiarezza.
"Nè io ritengo sia necessario, per assolvere al compito da me indicato, fare quella che è stata chiamata una Costituzione di compromesso. Che cos'è un compromesso? Gli onorevoli colleghi che si sono serviti di questa espressione, probabilmente l'hanno fatto dando ad essa un senso deteriore. Questa parola non ha però in sé un senso deteriore; ma se voi attribuite ad essa questo senso, ebbene, scartiamola pure. In realtà, noi non abbiamo cercato un compromesso con mezzi deteriori (...) meglio sarebbe dire che abbiamo cercato di arrivare ad una unità, cioè di individuare quale poteva essere il terreno comune sul quale potevano confluire correnti ideologiche e politiche diverse, ma un terreno comune che fosse abbastanza solido perchè si potesse costruire sopra di esso una Costituzione, cioè un regime nuovo, uno Stato nuovo (...)".
La democrazia è dunque una condizione “sospesa” che trova una sua forma solo nel quadro dello scontro di classe che vede da un lato i partiti della conservazione, i gruppi “avidi ed egoistici della plutocrazia”, il “grande capitale monopolistico” e dall’altro gli obiettivi avanzati della Costituzione. Secondo Togliatti, i partiti “ammessi” alla vita democratica dovranno avere “una base nel popolo e un programma democratico nazionale” e mantenere “la loro unità per far fronte a ogni tentativo di rinascita del fascismo”. Questi sono i paletti della democrazia secondo Togliatti, l’antifascismo e la Costituzione.
Ecco dunque prima di tutto una via italiana alla "democrazia" e Togliatti costruisce un assetto strutturale entro il quale il nostro sistema politico, negli anni a venire e con alterne vicende, prenderà forma e andrà a definirsi per progressiva moltiplicazione, intreccio e stratificazione degli sviluppi proprio di quel principio costitutivo che vuole la forma democratica indissolubilmente legata alla formula costituzionale.
Da qui, pure, discendono altri due caratteri "forti" del nostro particolare modello democratico: la difficoltà a definire l'unità nazionale superando i vincoli ideologici, tuttora operanti, dell'antifascismo e dell'anticomunismo (ed è una difficoltà che dispiega i suoi effetti perversi sulle nostre ultime vicende politiche) e, su un altro piano ma non completamente slegato dal primo, l'idea "totalizzante" del partito.
Si può affermare che il partito togliattiano è il modello prevalente se non nazionale del partito politico (al di là dei "tecnicismi" o formalismi di organizzazione delle correnti interne alle forze politiche), per la sua visione organicistica del rapporto tra politica e società, ruolo della politica e delle istituzioni e finanche del rapporto tra sfera pubblica e privata.
In sostanza solo dentro il quadrato delle forze politiche che hanno voluto la Costituzione, solo dentro il perimetro totalizzante di quel programma democratico è consentita la legittimazione democratica, solo nell' "arco costituzionale" è possibile vedere e riconoscere il profilo sistemico e ideale della democrazia della nuova Italia, al di fuori c’è solo l’opacità della reazione.
In Togliatti, l’idea della via nazionale al socialismo deve trovare le “vie” per rendersi compatibile e accompagnarsi per un lungo tratto con le esperienze di liberaldemocrazia, pena lo stesso esaurimento del progetto rivoluzionario e, dall’altro, l’affievolimento dello spirito delle Costituzioni di natura liberal-borghese.
Gli interventi di Togliatti alla Costituente vanno letti come un continuo e travagliato contributo di costruzione di un ponte tra diverse visioni delle “Costituzioni delle libertà”, diverse ma non estranee, le libertà e i diritti individuali e le libertà e i diritti dei movimenti sociali organizzati. Ne è prova questo passaggio dell’intervento di Togliatti, nella seduta dell’11 marzo 1947 nel quale è evidente il tentativo di ricercare un nesso (un compromesso?) tra “vecchie” scuole costituzionali e i nuovi costituenti:
“Oserei dire che nel nostro lavoro non ci hanno dato grande aiuto i giuristi (...). Molte formulazioni del progetto sono certamente deboli, perchè giuridicamente non siamo stati bene orientati e effettivamente fu un errore non includere nella Commissione i rappresentanti della vecchia scuola costituzionalista italiana. La realtà è che negli ultimi venti o trenta anni la scienza giuridica si è staccata dai principi della nostra vecchia scuola costituzionale. In fondo quali erano questi principi? Erano da un lato i principi del diritto romano e dall’altro i grandi principi delle rivoluzioni borghesi, elaborati poi attraverso l’esperienza costituzionale dell’Ottocento. Negli ultimi venti o trenta anni, invece, sono affiorate e sono state accolte, soprattutto nel nostro paese, dottrine diverse (...) che riconoscono e collocano la sovranità non nel popolo, ma soltanto nello Stato e danno quindi ai diritti individuali soltanto un carattere riflesso.(...) E questo spiega perchè, quando abbiamo dovuto scrivere una Costituzione democratica e abbiamo chiesto l’ausilio dei giuristi, essi non sono stati in grado di darci un aiuto efficace. Per darcelo (...) bisognava che ritornassero a qualche cosa che avevano dimenticato, e non erano sempre in grado di farlo. Questo è un motivo profondo delle debolezze e del carattere equivoco di molte tra le formulazioni del testo che sta davanti a noi”.
Questa è la grande operazione politica, vincente, di Togliatti, il legame indissolubile e la formazione di un blocco unico tra democrazia-antifascismo-Costituzione; questo è il suo capolavoro e, al tempo stesso, la grande scommessa di agganciare con la formula della democrazia progressiva le grandi correnti democratiche che si alzavano dalla nuova Europa e dalle frontiere liberate dai totalitarismi.
Togliatti non risolse mai, fino al Memoriale di Yalta, il problema della democrazia.
Il modello democratico nazionale, non ha il carattere generale, classico della liberaldemocrazia ma quello particolare segnato dalla Resistenza e dalla Costituzione. Quando Togliatti parla di sviluppo democratico e di partiti (questi sono la democrazia che si organizza) non si colloca nelle semplici procedure liberaldemocratiche per la formazione del governo ma ha in mente un duro antagonismo, un contrasto frontale contro le forze reazionarie per l’attuazione del programma democratico sancito dalla Costituzione contro la quale si possono raggruppare, per l’appunto, esclusivamente tutte le forze conservatrici.
Nell'importante intervento svolto da Togliatti l'11 marzo del 1947 all'Assemblea costituente sul primo progetto di Costituzione, definisce bene il ruolo che l'antifascismo deve avere nella costruzione del modello di democrazia nazionale, nel presidio della democraticità della Costituzione e colloca la "via italiana" e la "democrazia progressiva" in questo preciso punto di incontro-scontro tra forze democratiche e reazionarie.
In sostanza l'antifascismo per Togliatti (ma per l'intera sinistra italiana perfino in quella di matrice socialdemocratica) non è semplicemente un sentimento democratico, un sentimento da alimentare di continuo con l'impegno civile e politico nella dialettica liberaldemocratica ma è il filtro selettivo delle nuove classi dirigenti, tanto più legittimate a governare quanto più ispirate dai principi “sociali” e di emancipazione.
Dice Togliatti:
" (...) noi non rivendichiamo una Costituzione socialista. Sappiamo che la costruzione di uno Stato socialista non è il compito che sta oggi davanti alla nazione italiana. Il compito che dobbiamo assolvere oggi non so se sia più facile o più difficile, certo è più vicino. Oggi si tratta di distruggere sino all'ultimo ogni residuo di ciò che è stato il regime della tirannide fascista; si tratta di assicurare che la tirannide fascista non possa mai più rinascere; si tratta di assicurare l'avvento di una classe dirigente nuova, democratica, rinnovatrice, progressiva, di una classe dirigente la quale per la propria natura stessa ci dia garanzia effettiva e reale, che mai più sarà il paese spinto per la strada che lo ha portato alla catastrofe, alla distruzione".
Ed è su questo terreno della legittimazione antifascista delle forze politiche, al quale viene attribuito un valore discriminante (dentro o fuori la democrazia) che si forma lo schema compromissorio del sistema politico nazionale, schema che sarà ripreso e sviluppato dalle due culture politiche protagoniste della Costituente: il comunismo italiano e il cattolicesimo democratico. Togliatti in quella stessa seduta dell'11 marzo '47 interviene proprio su questo punto con grande chiarezza.
"Nè io ritengo sia necessario, per assolvere al compito da me indicato, fare quella che è stata chiamata una Costituzione di compromesso. Che cos'è un compromesso? Gli onorevoli colleghi che si sono serviti di questa espressione, probabilmente l'hanno fatto dando ad essa un senso deteriore. Questa parola non ha però in sé un senso deteriore; ma se voi attribuite ad essa questo senso, ebbene, scartiamola pure. In realtà, noi non abbiamo cercato un compromesso con mezzi deteriori (...) meglio sarebbe dire che abbiamo cercato di arrivare ad una unità, cioè di individuare quale poteva essere il terreno comune sul quale potevano confluire correnti ideologiche e politiche diverse, ma un terreno comune che fosse abbastanza solido perchè si potesse costruire sopra di esso una Costituzione, cioè un regime nuovo, uno Stato nuovo (...)".
La democrazia è dunque una condizione “sospesa” che trova una sua forma solo nel quadro dello scontro di classe che vede da un lato i partiti della conservazione, i gruppi “avidi ed egoistici della plutocrazia”, il “grande capitale monopolistico” e dall’altro gli obiettivi avanzati della Costituzione. Secondo Togliatti, i partiti “ammessi” alla vita democratica dovranno avere “una base nel popolo e un programma democratico nazionale” e mantenere “la loro unità per far fronte a ogni tentativo di rinascita del fascismo”. Questi sono i paletti della democrazia secondo Togliatti, l’antifascismo e la Costituzione.
Ecco dunque prima di tutto una via italiana alla "democrazia" e Togliatti costruisce un assetto strutturale entro il quale il nostro sistema politico, negli anni a venire e con alterne vicende, prenderà forma e andrà a definirsi per progressiva moltiplicazione, intreccio e stratificazione degli sviluppi proprio di quel principio costitutivo che vuole la forma democratica indissolubilmente legata alla formula costituzionale.
Da qui, pure, discendono altri due caratteri "forti" del nostro particolare modello democratico: la difficoltà a definire l'unità nazionale superando i vincoli ideologici, tuttora operanti, dell'antifascismo e dell'anticomunismo (ed è una difficoltà che dispiega i suoi effetti perversi sulle nostre ultime vicende politiche) e, su un altro piano ma non completamente slegato dal primo, l'idea "totalizzante" del partito.
Si può affermare che il partito togliattiano è il modello prevalente se non nazionale del partito politico (al di là dei "tecnicismi" o formalismi di organizzazione delle correnti interne alle forze politiche), per la sua visione organicistica del rapporto tra politica e società, ruolo della politica e delle istituzioni e finanche del rapporto tra sfera pubblica e privata.