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L’eredità di Berlinguer

Tratto da Liberazione Umana di Achille Occhetto

Credo che sia di un certo interesse cogliere gli elementi fondamentali del pensiero politico di Berlinguer raccolti dalla generazione che si era formata sotto la sua direzione. Tenendo presente che in una visione non oleografica della storia il lascito del passato si configura nel doppio movimento della continuità e del superamento.
L’eredità lasciataci da quell’indimenticabile dirigente politico va pertanto, inquadrata in una fase di declino del Pci che coincide con il declino della prima repubblica, e rappresenta l’annuncio della crisi storica della politica, del suo decadimento e della sua corruzione.
La generazione che gli era stata accanto negli ultimi anni e nel momento della sua scomparsa senti’ dolorosamente il suo tormento dinnanzi all’irrompere dei primi segnali di una devastante questione morale, accompagnata dall’esigenza di far fare ai partiti un passo in dietro rispetto ai problemi di gestione.

Il tema della “autoriforma della politica” era stato così posto al centro della nostra consapevolezza politica. Anche se quell’annuncio non era sempre stato accolto con favore e sarà, in seguito, destinato ad essere dimenticato. Infatti la sua eredità non sarà accolta in modo univoco.
Per capire che cosa succederà dopo la sua scomparsa, occorre rifuggire da ricostruzioni di maniera. Non si può dimenticare l’isolamento di Enrico, nell’ultima fase della sua vita, dentro gran parte del suo gruppo dirigente. Allo scontro esterno con Craxi si sovrapponeva un durissimo scontro interno che tendeva a presentare il segretario del Pci come un uomo superato dalla modernità, e la sua battaglia sulla questione morale veniva derisa come una manifestazione di moralismo “démodé”.
Avevo potuto, in molte occasioni, vedere da vicino il suo tormento degli ultimi mesi. La tensione attorno a lui era immensa. La si sentiva passare come una corrente elettrica che attraversava le riunioni di segreteria e di direzione. Il successivo acuirsi della fase declinante del Pci, dopo momenti di incertezza e smarrimento, impose alla generazione dei suoi colonnelli di fare riemergere alcuni dei nodi fondamentali del lascito innovatore di Berlinguer.
Il momento di massima concentrazione e di rilancio fu la celebrazione del 18 congresso del Pci, caratterizzato, insieme, da una forte innovazione e da una rielaborazione delle più significative acquisizioni del pensiero politico di quel grande leader.
E’ infatti agevole riscontrare, per chiunque voglia cogliere i processi reali, al di la’ di ogni personalismo sensazionalistico, gli elementi ispiratori del pensiero di Berlinguer che vivono nel 18 congresso e che, successivamente, si travasano come aspetti significativi, sia pure in forme nuove, nella cultura della svolta.
Come in tutti i momenti rilevanti, le novità crescono dentro i vecchi contenitori storici. Ad un certo punto il nuovo erompe e scardina il vecchio involucro. In questo senso la cultura della svolta ha i suoi antecedenti storici nell’evoluzione del pensiero del Pci e in quel salto qualitativo rappresentato dall’elaborazione collettiva del 18 congresso. Non a caso al culmine di quel congresso sentimmo, tutti assieme, l’esigenza di chiamarci “nuovo Pci”.
Quello che mancava ancora alle nuove acquisizioni era una visione del quadro complessivo internazionale e nazionale che avrebbe comportato la nostra collocazione organica nel campo della sinistra europea. Quel quadro ci apparirà davanti, come una rivelazione, oltre il Muro.
Infatti quanti affermeranno che la “svolta” mancava di una cultura politica dimenticano che la Bolognina cade pochi mesi dopo quel congresso innovatore, ed eravamo sempre gli stessi che avevano immesso nella nostra cultura politica novità ragguardevoli, arricchendole attraverso un intenso dialogo politico e intellettuale con le nuove elaborazioni della stessa socialdemocrazia europea. Quella era la nostra rinnovata cultura, negarlo sarebbe come affermare che tutta la sinistra europea mancava di cultura politica.
Ma quanto Berlinguer c’era nel congresso del nuovo Pci!
La stessa mia apertura della relazione del 18 congresso sul tema dell’Amazzonia, ferocemente irrisa da Craxi come esempio di misticismo terzomondista, aveva la sua più remota ispirazione nella sensibilità mostrata, più volte, da Berlinguer verso le problematiche ecologiche. Noi sviluppammo quella eredità nella direzione di una nuova centralità dell’ecologia, non più vista come un capitolo del programma, ma come una visione del tutto nuova della produzione e del modello di sviluppo.
Accanto alla centralità del tema dello sviluppo sostenibile si snodavano così altri elementi fondamentali del lascito berlingueriano, come quelli di un nuovo rapporto tra pubblico e privato, che nella “dichiarazione di intenti” della fondazione del Pds spingeremo verso la sostituzione della nozione di “economia di mercato” con quella di una “società di mercato” che non ponesse più il profitto come agente incontrollato dell’agire economico. Così come l’idea lanciata da Berlinguer di una Europa n’è anti americana n’è antisovietica fu da noi rielaborata, nei documenti programmatici della svolta, sulla scorta del pensiero di Altiero Spinelli, attraverso la proposta degli “Stati uniti d’Europa”.
La stessa battaglia di Berlinguer, volta a far fare un passo in dietro ai partiti rispetto alla gestione degli affari pubblici e dell’economia, ci spingerà a dichiarare il “limite della politica” ed ad aprire la strada verso una visione nuova dei diversi soggetti della politica stessa e delle nuove contraddizioni strutturali e sovrastrutturali nella fase della globalizzazione. La affermazione, fatta da segretario del Pci davanti a uno sbigottito congresso del PCUS, sul valore universale della libertà ci condurrà, con la “svolta”, a rifiutare ogni contrapposizione tra uguaglianza e libertà per fare della stessa libertà la “condizione” dell’uguaglianza e viceversa. Certo noi, successivamente, andremo più avanti nella direzione di una riforma del sistema politico capace di decretare la fine della centralità dell’unità politica dei cattolici attraverso il bipolarismo e le regole dell’alternanza.
Sempre a proposito di eredità, non si può non vedere come il successivo superamento dell’illusione della riformabilita’ del cosiddetto socialismo reale abbia avuto i suoi prodromi nella dichiarazione di Berlinguer sulla fine della spinta propulsiva della rivoluzione d’ottobre, nell’invocazione dell’ombrello della NATO e nel suo progressivo distacco dal campo sovietico.
Purtroppo lui non ebbe il tempo di codificare queste acquisizioni in un sistematico superamento di una esperienza storica che stava giungendo alla fine e nella individuazione di un nuovo campo di riorganizzazione della sinistra democratica. Ciò produrrà, dopo la sua scomparsa, non poche incertezze e anche alcuni gravi passi indietro nei rapporti con alcuni paesi dell’est europeo che aggraveranno il nostro isolamento e il nostro declino. La stessa confusione che prevarrà in una parte rilevante dei gruppi dirigenti nazionali e locali tra la grande strategia del “compromesso storico” e la sua riduzione alla proliferazione indiscriminata delle “grandi intese” rappresenterà un travisamento del pensiero berlingueriano, che ci farà scivolare sul piano inclinato delle compromissioni e del consociativismo. La confusione tra “compromesso”, nobile parola nell’arte della politica, e “compromissione” ha in molti casi allontanato la sinistra dal cuore pulsante dell’insegnamento e del lascito politico e morale del grande leader sardo.
Purtroppo la pur importante eredità di Berlinguer non fu sempre onorata con coerenza. Anche all’interno dei cosiddetti “colonnelli berlingueriani” si aprirà uno spiraglio, contraddetto in parte dalle recenti celebrazioni, verso le tesi che contrapponevano la supposta modernità di Craxi al moralismo e conservatorismo di Berlinguer. In realtà le tre grandi intuizioni di Enrico, quelle della “autoriforma della politica”, di una “austerità” fondata su un nuovo modo di produrre e di consumare, dei temi ambientalisti e di quelli della “diversità” imposti dalla rivoluzione femminista, sono ancora oggi di una modernità impressionante. Temi che non abbiamo ritrovato in Craxi, ma in Willy Brandt e Olof Palme.
Come si vede, con la morte di Berlinguer non muoiono, almeno per un periodo abbastanza lungo, le sue idee. Non si precipita, come sembra apparire da alcune recenti ricostruzioni, nel vuoto assoluto, per risorgere, come Minerva dalla testa di Giove, nel nuovo assoluto.
Ci sono le eredità e i travagli storici che non vanno esaltati acriticamente ma nemmeno dimenticati. Solo così si può insegnare ai giovani la vera politica.

Achille Occhetto