Egemonia
Aldo Tortorella, già membro della Segreteria del Pci.
Il concetto gramsciano di egemonia si contrappone, nei Quaderni del carcere, all'idea di «dominio». È solo in una fase rozza e primitiva che si può pensare ad una nuova formazione economica sociale come dominio di una parte sull'altra della società. In realtà è un complesso sistema di relazioni e di mediazioni che stabilisce una egemonia e cioè una compiuta capacità di direzione. Gramsci fa una serie di esempi storici: in particolare quello della egemonia dei moderati nella Francia ottocentesca o in Italia. Non vi sarebbe stata organizzazione del potere moderato solo attraverso la forza. È un complesso di attività culturali e ideali - di cui sono protagonisti gli intellettuali - che organizza il consenso e consente lo svolgimento della direzione moderata.
Questa nozione del concetto di egemonia viene da una ben precisa interpretazione del pensiero di Marx. Gramsci sottolinea a più riprese che solo una lettura schematica può lasciar ritenere che in Marx quelle che egli definisce le sovrastrutture abbiano un rapporto di dipendenza meccanica con le strutture. Il fatto che in Marx si parli delle sovrastrutture come «apparenze» va dunque visto come un bisogno divulgativo, come una forma di discorso «metaforico» per un dialogo e una comprensione di massa della nuova analisi della società.
Con la parola «apparenza» Marx vuole indicare dice Gramsci - la «storicità» delle «sovrastrutture» etico-politiche, culturali e ideali, contro le concezioni dogmatiche che tendono a considerarle come assolute.
Di conseguenza, Gramsci non respinge la visione proposta da Benedetto Croce sulla esigenza di uno studio della storia dal punto di vista etico-politico. Ma - e qui viene la polemica con Croce non si può interpretare la storia solo da questo punto di vista: l'aspetto etico-politico può spiegare, appunto, il processo dell'affermarsi della egemonia dell'una o dell'altra formazione economico-sociale, ma non dà conto dell'insieme del processo storico.
Per Gramsci il grande merito di Lenin è appunto quello di avere colto, di contro alle degenerazioni e semplificazioni economicistiche e deterministiche, il valore straordinario e decisivo della lotta culturale e ideale al fine della affermazione delle classi subalterne e della affermazione di un nuovo sistema economico-sociale.
L'idea di egemonia, in Lenin, non va dunque intesa - nella interpretazione di Gramsci - come affermazione di un dominio, ma come affermazione di una superiore capacità di interpretazione della storia e di soluzione dei problemi che essa pone.
È proprio l'idea di egemonia così intesa che distacca radicalmente Gramsci da ogni forma di meccanicismo nella interpretazione del corso storico e da ogni visione riduttiva o autoritaria della funzione delle vecchie o nuove classi dirigenti. Se queste perdono egemonia culturale, ideale, morale cessano di essere dirigenti e passano all'esercizio di un dominio destinato a decadere o a crollare.
Gramsci si distacca così da ogni concezione di tipo tirannico della espressione «dittatura del proletariato».
Il concetto di egemonia in Gramsci - e la particolare lettura di Marx e di Lenin che esso comporta - si distinguono in modo radicale dalle interpretazioni di Marx e di Lenin che in quel periodo si affermavano nella terza internazionale. Del concetto di egemonia è stata sovente fornita una lettura distorta, a scopi di polemica politica. Il concetto di egemonia è stato sovente attaccato come se volesse esprimere l'idea di una dittatura di partito. Ma ciò non corrisponde in alcun modo alla tesi gramsciana, anzi la nega e la contraddice.
Il concetto gramsciano di egemonia si contrappone, nei Quaderni del carcere, all'idea di «dominio». È solo in una fase rozza e primitiva che si può pensare ad una nuova formazione economica sociale come dominio di una parte sull'altra della società. In realtà è un complesso sistema di relazioni e di mediazioni che stabilisce una egemonia e cioè una compiuta capacità di direzione. Gramsci fa una serie di esempi storici: in particolare quello della egemonia dei moderati nella Francia ottocentesca o in Italia. Non vi sarebbe stata organizzazione del potere moderato solo attraverso la forza. È un complesso di attività culturali e ideali - di cui sono protagonisti gli intellettuali - che organizza il consenso e consente lo svolgimento della direzione moderata.
Questa nozione del concetto di egemonia viene da una ben precisa interpretazione del pensiero di Marx. Gramsci sottolinea a più riprese che solo una lettura schematica può lasciar ritenere che in Marx quelle che egli definisce le sovrastrutture abbiano un rapporto di dipendenza meccanica con le strutture. Il fatto che in Marx si parli delle sovrastrutture come «apparenze» va dunque visto come un bisogno divulgativo, come una forma di discorso «metaforico» per un dialogo e una comprensione di massa della nuova analisi della società.
Con la parola «apparenza» Marx vuole indicare dice Gramsci - la «storicità» delle «sovrastrutture» etico-politiche, culturali e ideali, contro le concezioni dogmatiche che tendono a considerarle come assolute.
Di conseguenza, Gramsci non respinge la visione proposta da Benedetto Croce sulla esigenza di uno studio della storia dal punto di vista etico-politico. Ma - e qui viene la polemica con Croce non si può interpretare la storia solo da questo punto di vista: l'aspetto etico-politico può spiegare, appunto, il processo dell'affermarsi della egemonia dell'una o dell'altra formazione economico-sociale, ma non dà conto dell'insieme del processo storico.
Per Gramsci il grande merito di Lenin è appunto quello di avere colto, di contro alle degenerazioni e semplificazioni economicistiche e deterministiche, il valore straordinario e decisivo della lotta culturale e ideale al fine della affermazione delle classi subalterne e della affermazione di un nuovo sistema economico-sociale.
L'idea di egemonia, in Lenin, non va dunque intesa - nella interpretazione di Gramsci - come affermazione di un dominio, ma come affermazione di una superiore capacità di interpretazione della storia e di soluzione dei problemi che essa pone.
È proprio l'idea di egemonia così intesa che distacca radicalmente Gramsci da ogni forma di meccanicismo nella interpretazione del corso storico e da ogni visione riduttiva o autoritaria della funzione delle vecchie o nuove classi dirigenti. Se queste perdono egemonia culturale, ideale, morale cessano di essere dirigenti e passano all'esercizio di un dominio destinato a decadere o a crollare.
Gramsci si distacca così da ogni concezione di tipo tirannico della espressione «dittatura del proletariato».
Il concetto di egemonia in Gramsci - e la particolare lettura di Marx e di Lenin che esso comporta - si distinguono in modo radicale dalle interpretazioni di Marx e di Lenin che in quel periodo si affermavano nella terza internazionale. Del concetto di egemonia è stata sovente fornita una lettura distorta, a scopi di polemica politica. Il concetto di egemonia è stato sovente attaccato come se volesse esprimere l'idea di una dittatura di partito. Ma ciò non corrisponde in alcun modo alla tesi gramsciana, anzi la nega e la contraddice.