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Americanismo e Fordismo

Carlo Pinzani, storico

Uno dei dati consolidati della storiografia sulla III Internazionale è certamente quello della carenza di analisi sugli Stati Uniti e sull'evoluzione della società americana. Tra l'altro è a questa insufficienza di analisi che si devono tal uni errori commessi dall'Unione Sovietica e dal movimento comunista nel campo delle relazioni internazionali all'indomani della seconda guerra mondiale, quando gli Stati Uniti apparvero come potenza egemone a livello planetario.
Appare quindi ancor più sorprendente ed eccezionale che Gramsci, nella sua elaborazione solitaria di recluso, abbia avuto la sensibilità di cogliere, quale elemento d'interesse della documentazione che riusciva a farsi pervenire, le osservazioni sulla società americana. L'angolo visuale dal quale Gramsci si colloca è quello a lui ben noto per l'esperienza torinese dell'organizzazione del lavoro nella grande fabbrica. E il primo dato che egli mette in risalto nella serie di note sugli Stati Uniti - scritte in anni diversi e raggruppate tematicamente nel 1934 - è l'intuizione dell'enorme forza del capitalismo americano, il solo che non si trovi di fronte i limiti rappresentati dai residui sociali, culturali, di modi di produzione precedenti. Già un'adeguata valutazione di questa intuizione avrebbe potuto evitare, anche in anni assai più vicini, certe macroscopiche sottovalutazioni della forza del capitalismo statunitense.
Il secondo dato rilevante è la comprensione della modernità del modello americano di organizzazione del lavoro che, lungi dal fare dell'operaio un «gorilla ammaestrato», crea anzi le premesse per una maggiore coscienza di classe che, da parte dei capitalisti, si tenta di contrastare sia con gli alti salari sia con strumenti «pedagogici».
Gramsci riconosceva che «... il metodo di Ford è "razionale", cioè deve generalizzarsi, ma che perciò sia necessario un processo lungo, in cui avvenga un mutamento delle condizioni sociali».
A differenza, dunque, di larga parte dei gruppi dirigenti e, ancor più, di vasti strati intellettuali dell'Italia fascista, Gramsci riconosce la superiorità dell'organizzazione produttiva americana, anche se ritiene che essa non potrà continuare a godere della posizione di privilegio con il generalizzarsi del metodo, che impedirà la possibilità di mantenere gli alti salari. In questo senso, anche a Gramsci sfuggono le capacità di autoregolazione che il capitalismo viene sviluppando per il tramite dell'intervento statale, capacità che, nonostante crescenti difficoltà, consentono ancora oggi al capitalismo americano di mantenere la propria egemonia a livello mondiale.
D'altra parte, non si deve dimenticare che le notazioni gramsciane sono estremamente precoci e non possono tenere conto degli sviluppi Le parole legati alla «grande depressione» e agli strumenti utilizzati per superarla.
Ma l'acume gramsciano non si limita alla individuazione degli aspetti essenziali della nuova società che si viene sviluppando; si spinge anche al riconoscimento di rilevanti aspetti culturali e di costume, che vanno dall'incidenza del nuovo ordine produttivo sulle abitudini sessuali alle caratteristiche dell'associazionismo di classe, alla profonda differenziazione tra la cultura degli intellettuali americani e quella degli europei.
Ma, al di là delle intuizioni più o meno profonde, quel che colpisce nella riflessione gramsciana è la sua assoluta originalità, prova di una profonda capacità di comprensione della realtà sociale che neppure le orribili condizioni della detenzione e dell'isolamento riescono ad attenuare.