Cattolici
Giuseppe Galasso, storico - docente di storia medievale e moderna all'Università di Napoli - già deputato del Pri
Le posizioni di Gramsci sulla «questione cattolica» in Italia tendono fin da principio ad andare oltre il vecchio anticlericalismo, con cui essa continuò a lungo ad essere affrontata anche dopo la prima guerra mondiale. Già nel 1919 egli qualifica il partito popolare come un frutto della laicizzazione e del rinnovamento operatosi in Italia è col Risorgimento e con l'unità e come un partito di massa che esprime la progressiva maturazione sociale del proletariato italiano in direzione del suo obbligato sbocco comunista. Su questa base Gramsci afferma senz'altro che il futuro «Stato operaio dovrà anch'esso trovare un sistema di equilibrio» col cattolicesimo in Italia. D'altra parte, le masse che i popolari organizzano sono, in particolare, quelle «dei contadini e delle categorie che si trovano nella foro stessa situazione politica»; ma si tratta di masse eterogenee, i cui vari elementi sono destinati a prendere ciascuno la sua strada a mano a mano che «acquistano coscienza di sé e dei loro reali interessi»: nel suo stesso successo il partito popolare ha le ragioni della sua fatale dissoluzione, rimanendo intanto inevitabilmente connotato come «partito del programma democratico e dell'alleanza coi conservatori». In ciò Gramsci vede un'analogia dei cattolici con i socialisti, che anch'essi, da un lato, portano grandi masse ad inserirsi nello Stato uscito dal Risorgimento e, dall'altro, a non essere capaci di cambiare la logica di questo Stato.
«Don Sturzo e Turati - scriveva allora Gramsci - incominciano stranamente a somigliare al vecchio Giolitti». Si tratta in entrambi i casi di una realtà «fondamentalmente conservatrice e reazionaria», di cui però non si può non tener conto, dato che in essa si attuano «un complesso inquadramento di forze reali» e lo sforzo di realizzare «un sistema più agile, più adatto alla necessità nuova di mantenere con le masse un contatto continuo» e di superare il distacco tradizionale tra lo Stato italiano e le masse.
Nel breve giro di alcuni anni la prospettiva muta, però, rapidamente. Dinanzi alla progressiva affermazione del fascismo Gramsci è teso a cogliere tutti i segni che possono indurre ad inquadrare la questione cattolica in quella più generale che egli nel 1924 già definisce come il problema di «portare sul terreno di classe la resistenza e la opposizione della popolazione lavoratrice al fascismo». Nella nuova situazione, con le secessioni che ne riducono la forza elettorale e l'organizzazione in modo assai grave, il partito popolare sembra a Gramsci essere entrato in una crisi gravissima, che lo fa staccare anche dal Vaticano e che bisogna mirare a concludere. È ora che egli elabora una netta distinzione tra politica vaticana e cattolicesimo politico italiano. In nessun caso - egli afferma - si deve mirare «a favorire i tentativi, che possono nascere, di movimenti ideologici di natura strettamente religiosa». Se i cattolici giocano un ruolo di sinistra, questo non accade perché essi si contrappongono alla Chiesa su posizioni religiose di un certo tipo, bensì perché assumono determinati orientamenti in materia sociale. Sono questi a dover interessare la sinistra, e non già le questioni di ortodossia o di principio religioso. Così le immagini di un cattolicesimo politico italiano ora in ritirata dinanzi alla penetrazione e all'assorbimento da parte fascista, ora espressione di interessi schiettamente conservatori, ora sostanzialmente strumento dell'azione vaticana, ora fortemente autonomo e reattivo sul terreno di classe, e suscettibile di grandi sviluppi in questo senso, si sovrappongono in Gramsci fino al 1926 tra loro e danno luogo a varie e significative oscillazioni del suo pensiero.
Ma le oscillazioni non dipendono soltanto da ondeggiamenti teorici dello stesso Gramsci. Esse sono anche effetto del travaglio attraverso cui si stabilì in Italia tra il 1922 e il 1926 il regime fascista, e dipendono, dunque, per altro verso, dallo stretto rapporto che, in questo come in altri casi, si osserva in Gramsci tra riflessione ed esperienza, pur nello sforzo costante di padroneggiare pienamente da un punto di vista tanto storico quanto politico tutti i termini della questione cattolica.
Nel periodo del carcere, e quindi nei Quaderni, si osserva innanzitutto un allargarsi del discorso gramsciano dal cattolicesimo politico italiano a quello di tutta Europa.
In questo quadro il Concordato del 1929 gli appare come particolarmente grave, perché segna, tra l'altro, un cedimento dello Stato sul terreno scolastico dalle elementari all'università, e quindi nella formazione a livello sia popolare che della classe dirigente; e perché il Concordato è legato al Trattato del Laterano, ma è un accordo fra due sovranità all'interno dello stesso Stato, con oggettiva limitazione del governo italiano a rappresentare solo lo Stato italiano, mentre la Chiesa rappresenta sia il Vaticano come soggetto di diritto internazionale che se stessa in Italia. In questo caso Gramsci irrideva a coloro che avevano «scoperto con grande stupore e senso di scandalo che cattolicismo è uguale a 'papismo'»; e, insieme, ai «grandi politici del Vaticano» che non avevano considerato appieno tutti i risvolti dell'accordo col governo fascista. Ora egli mostrava maggiore interesse per le contestazioni religiose al Vaticano, parlando del modernismo assai positivamente e affermando che in seno alla Chiesa non si può «evitare di porre in forma religiosa problemi che sono spesso puramente mondani, di "dominio"». Nello stesso tempo diventa dominante l'attenzione per l'Azione Cattolica, come braccio secolare della politica pontificia.
Ma Gramsci sottolinea pure che nel mondo contemporaneo la Chiesa non è più una forza mondiale direttiva e ispiratrice di forze e di valori, ma è anzi subalterna alle forze e ai valori di tale mondo; e che, a sua volta, l'Azione Cattolica, subalterna alla Chiesa, non può realizzare appieno le necessità che affiorano dall'interno del suo sviluppo. E nello stesso tempo distingue all'interno del mondo cattolico tre correnti in lotta per l'egemonia: integralisti, gesuiti e modernisti (grosso modo: destra, centro e sinistra).
Certo il problema si imponeva alla sua riflessione con forza crescente. Nella seconda
metà della sua reclusione le note sulla questione cattolica si intensificano. Con Pio XI - non a caso definito come «papa dei Gesuiti» - si ha un grosso sforzo di far prevalere una linea di mediazione e di compromesso con le forze al potere in Italia e in Europa, con un procedere che Gramsci trova anche «incerto, timido, titubante». Ciò conferma a Gramsci che la questione cattolica si pone come questione aperta soprattutto per quanto riguarda il problema del rapporto tra la Chiesa e il partito politico di cui essa non può più fare a meno nella società contemporanea. Per allora questo partito era in Italia l'Azione Cattolica; e, con l'ispirazione dei Gesuiti, si cercava di «costituire una larga base popolare al movimento cattolico-democratico».. Ma la situazione avrebbe potuto mutare e obbligare a riconsiderare il problema, così come già era accaduto dal 1926 in poi rispetto agli anni precedenti, e negli ultimi anni del carcere rispetto ai primi.
Le posizioni di Gramsci sulla «questione cattolica» in Italia tendono fin da principio ad andare oltre il vecchio anticlericalismo, con cui essa continuò a lungo ad essere affrontata anche dopo la prima guerra mondiale. Già nel 1919 egli qualifica il partito popolare come un frutto della laicizzazione e del rinnovamento operatosi in Italia è col Risorgimento e con l'unità e come un partito di massa che esprime la progressiva maturazione sociale del proletariato italiano in direzione del suo obbligato sbocco comunista. Su questa base Gramsci afferma senz'altro che il futuro «Stato operaio dovrà anch'esso trovare un sistema di equilibrio» col cattolicesimo in Italia. D'altra parte, le masse che i popolari organizzano sono, in particolare, quelle «dei contadini e delle categorie che si trovano nella foro stessa situazione politica»; ma si tratta di masse eterogenee, i cui vari elementi sono destinati a prendere ciascuno la sua strada a mano a mano che «acquistano coscienza di sé e dei loro reali interessi»: nel suo stesso successo il partito popolare ha le ragioni della sua fatale dissoluzione, rimanendo intanto inevitabilmente connotato come «partito del programma democratico e dell'alleanza coi conservatori». In ciò Gramsci vede un'analogia dei cattolici con i socialisti, che anch'essi, da un lato, portano grandi masse ad inserirsi nello Stato uscito dal Risorgimento e, dall'altro, a non essere capaci di cambiare la logica di questo Stato.
«Don Sturzo e Turati - scriveva allora Gramsci - incominciano stranamente a somigliare al vecchio Giolitti». Si tratta in entrambi i casi di una realtà «fondamentalmente conservatrice e reazionaria», di cui però non si può non tener conto, dato che in essa si attuano «un complesso inquadramento di forze reali» e lo sforzo di realizzare «un sistema più agile, più adatto alla necessità nuova di mantenere con le masse un contatto continuo» e di superare il distacco tradizionale tra lo Stato italiano e le masse.
Nel breve giro di alcuni anni la prospettiva muta, però, rapidamente. Dinanzi alla progressiva affermazione del fascismo Gramsci è teso a cogliere tutti i segni che possono indurre ad inquadrare la questione cattolica in quella più generale che egli nel 1924 già definisce come il problema di «portare sul terreno di classe la resistenza e la opposizione della popolazione lavoratrice al fascismo». Nella nuova situazione, con le secessioni che ne riducono la forza elettorale e l'organizzazione in modo assai grave, il partito popolare sembra a Gramsci essere entrato in una crisi gravissima, che lo fa staccare anche dal Vaticano e che bisogna mirare a concludere. È ora che egli elabora una netta distinzione tra politica vaticana e cattolicesimo politico italiano. In nessun caso - egli afferma - si deve mirare «a favorire i tentativi, che possono nascere, di movimenti ideologici di natura strettamente religiosa». Se i cattolici giocano un ruolo di sinistra, questo non accade perché essi si contrappongono alla Chiesa su posizioni religiose di un certo tipo, bensì perché assumono determinati orientamenti in materia sociale. Sono questi a dover interessare la sinistra, e non già le questioni di ortodossia o di principio religioso. Così le immagini di un cattolicesimo politico italiano ora in ritirata dinanzi alla penetrazione e all'assorbimento da parte fascista, ora espressione di interessi schiettamente conservatori, ora sostanzialmente strumento dell'azione vaticana, ora fortemente autonomo e reattivo sul terreno di classe, e suscettibile di grandi sviluppi in questo senso, si sovrappongono in Gramsci fino al 1926 tra loro e danno luogo a varie e significative oscillazioni del suo pensiero.
Ma le oscillazioni non dipendono soltanto da ondeggiamenti teorici dello stesso Gramsci. Esse sono anche effetto del travaglio attraverso cui si stabilì in Italia tra il 1922 e il 1926 il regime fascista, e dipendono, dunque, per altro verso, dallo stretto rapporto che, in questo come in altri casi, si osserva in Gramsci tra riflessione ed esperienza, pur nello sforzo costante di padroneggiare pienamente da un punto di vista tanto storico quanto politico tutti i termini della questione cattolica.
Nel periodo del carcere, e quindi nei Quaderni, si osserva innanzitutto un allargarsi del discorso gramsciano dal cattolicesimo politico italiano a quello di tutta Europa.
In questo quadro il Concordato del 1929 gli appare come particolarmente grave, perché segna, tra l'altro, un cedimento dello Stato sul terreno scolastico dalle elementari all'università, e quindi nella formazione a livello sia popolare che della classe dirigente; e perché il Concordato è legato al Trattato del Laterano, ma è un accordo fra due sovranità all'interno dello stesso Stato, con oggettiva limitazione del governo italiano a rappresentare solo lo Stato italiano, mentre la Chiesa rappresenta sia il Vaticano come soggetto di diritto internazionale che se stessa in Italia. In questo caso Gramsci irrideva a coloro che avevano «scoperto con grande stupore e senso di scandalo che cattolicismo è uguale a 'papismo'»; e, insieme, ai «grandi politici del Vaticano» che non avevano considerato appieno tutti i risvolti dell'accordo col governo fascista. Ora egli mostrava maggiore interesse per le contestazioni religiose al Vaticano, parlando del modernismo assai positivamente e affermando che in seno alla Chiesa non si può «evitare di porre in forma religiosa problemi che sono spesso puramente mondani, di "dominio"». Nello stesso tempo diventa dominante l'attenzione per l'Azione Cattolica, come braccio secolare della politica pontificia.
Ma Gramsci sottolinea pure che nel mondo contemporaneo la Chiesa non è più una forza mondiale direttiva e ispiratrice di forze e di valori, ma è anzi subalterna alle forze e ai valori di tale mondo; e che, a sua volta, l'Azione Cattolica, subalterna alla Chiesa, non può realizzare appieno le necessità che affiorano dall'interno del suo sviluppo. E nello stesso tempo distingue all'interno del mondo cattolico tre correnti in lotta per l'egemonia: integralisti, gesuiti e modernisti (grosso modo: destra, centro e sinistra).
Certo il problema si imponeva alla sua riflessione con forza crescente. Nella seconda
metà della sua reclusione le note sulla questione cattolica si intensificano. Con Pio XI - non a caso definito come «papa dei Gesuiti» - si ha un grosso sforzo di far prevalere una linea di mediazione e di compromesso con le forze al potere in Italia e in Europa, con un procedere che Gramsci trova anche «incerto, timido, titubante». Ciò conferma a Gramsci che la questione cattolica si pone come questione aperta soprattutto per quanto riguarda il problema del rapporto tra la Chiesa e il partito politico di cui essa non può più fare a meno nella società contemporanea. Per allora questo partito era in Italia l'Azione Cattolica; e, con l'ispirazione dei Gesuiti, si cercava di «costituire una larga base popolare al movimento cattolico-democratico».. Ma la situazione avrebbe potuto mutare e obbligare a riconsiderare il problema, così come già era accaduto dal 1926 in poi rispetto agli anni precedenti, e negli ultimi anni del carcere rispetto ai primi.