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“QUANDO C’ERA BERLINGUER”

tratto da Liberazione Umana di Achille Ochetto

di Alessandra Severini, Gabriele Niola
Quale fu il suo rapporto con Berlinguer?

«Gli volevo molto bene, sentivo nei suoi confronti una specie di empatia. Fu un rapporto molto intenso, anche perchè fu lui a portarmi nella segreteria del partito, con una scelta anche contrastata da una parte del partito, quella che era la corrente migliorista. Insieme fissammo la data del comizio di Padova che gli sarà fatale e quando gli proposi di recarsi il giorno dopo a Comiso in Sicilia, lui mi disse con un lieve sorriso ironico: “Va bene, se sarò ancora vivo ci andrò”».

Nel suo libro lei racconta che Berlinguer la mandò a fare il segretario in Sicilia.
«Davanti alla mia posizione fortemente critica verso l’Urss mi chiamò e mi disse: “Tu sei un ottimo dirigente per una parte del partito, non per un’altra. E’ bene che tu faccia un’esperienza sul territorio”. Potevo scegliere fra Abruzzo e Sicilia. Scelsi l’isola ed è stata un’esperienza importante perché per conoscere l’Italia bisogna conoscere il Mezzogiorno».

26_590-490Nel libro racconta di quando il segretario le propose di cambiare nome al Pci.
«Ero segretario regionale in Sicilia e Berlinguer era venuto sull’isola per la campagna referendaria sul divorzio. All’improvviso mi disse a bruciapelo “Cosa ne pensi se cambiassimo nome al Pci”? Rimasi senza fiato. “Che nome gli daresti?”, mi chiese. Azzardai: “Partito comunista democratico”. Lui sorrise con aria di sufficienza e mi rispose: “Da un lato è troppo poco, dall’altro si finirebbe per far credere che noi attualmente non siamo democratici”».

Lei montò la guardia alla bara di Berlinguer. Come ricorda quel funerale?
«I suoi funerali mostrarono l’affetto e il rispetto di tutta la nazione. Io montai la guardia allo stesso angolo e nello stesso luogo dei funerali di Togliatti. C’era la stessa fila interminabile, i pugni chiusi e i segni della croce. Ma la gente era cambiata: c’erano gli operai e i contadini, ma anche cittadini dalle più svariate professioni. Moltissimi giovani e moltissime donne».

Quanto la questione morale di Berlinguer è ancora attuale?
«Era uno dei punti su cui ero più d’accordo con lui. Ero convinto che nel rapporto fra partiti e politica i primi dovessero fare un passo indietro. Molti dei miei successori l’hanno un po’ dimenticata, arrivando a rivalutare Craxi e considerandolo un esempio di modernità. Io questo non l’ho mai accettato. Molti di questi dirigenti saranno alla prima del film di Veltroni».

Ci andrà?
«Veltroni mi ha invitato e per rispetto al ricordo di Enrico ci andrò. Ma sarò a disagio».

Cosa pensa di Renzi, il rottamatore?
«Quando ho sentito Renzi parlare di rottamazione ho stappato bottiglie. Ho pensato: ci si libera di dirigenti che hanno distrutto la sinistra in Italia. Ma poi si devono fare nomi e cognomi, non sparare nel mucchio di un’intera generazione. E non lo dico per me che mi sono rottamato da solo. Attendo di vedere se ce la fa. Non lo capisco fino in fondo, ma come tantissime persone spero ce la faccia e spero che insieme a lui si affermi una nuova generazione».

Come legge questo momento politico?
«Mi sembra che si viva in un eterno presente, senza radici. Invece penso che sia necessario coltivare la memoria, non come amarcord ma come linfa del presente. Io non mi sono mai arreso al fatto che sotto le macerie del comunismo dovesse morire anche la sinistra».

fotoQuando c’era Berlinguer è il film documentario scritto e diretto da Walter Veltroni che racconta il segretario del Pci. Abbiamo chiesto ad Achille Occhetto, l’ultimo segretario del Partito comunista italiano e l’uomo della svolta della Bolognina di raccontarci il “suo” Berlinguer. Occhetto dedica al rapporto con l’allora segretario pagine intense del suo ultimo libro La Gioiosa Macchina da Guerra (Editori Internazionali Riuniti).