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Modello e Realtà

"La Città futura", p. 4 e "Avanti! ", anno XXI, n. 50, 19 febbraio 1917, cronache torinesi, sotto il titolo Le delizie dell'economia liberale. La legge del libero acquisto. Nell'" Avanti!" risulta cancellato dalla censura anche l'intero ultimo paragrafo. Raccolto in Scritti 1915-I92I.

Modello è lo schema tipico di un determinato fenomeno, di una determinata legge. Il succedersi in modo uniforme dei fatti permette di fissarne le leggi, di tracciarne gli schemi, di costruirne i modelli. Purché non si diano a queste astrazioni dell'intelletto valori assoluti, esse hanno una ragguardevole utilità pedagogica: servono mirabilmente per riuscire a collocarsi nel centro stesso dell'atto fenomenico che si svolge e va elaborando tutte le sue possibilità, tutte le sue tendenze finalistiche. E quando si è riusciti a compiere questo atto iniziale, il più è fatto: l'intelligenza riesce ormai a sorprendere il divenire del fatto, lo comprende nella sua totalità e quindi nella sua individualità. Il modello, la legge, lo schema sono in sostanza espedienti metodologici che aiutano a impadronirsi della realtà; sono espedienti critici per iniziarsi alla conoscenza e al saper esatto. 
Costruiamo uno di questi modelli.
Immaginiamo la società in ischema. 100 famiglie, scisse nelle due classi storiche che attualmente si contendono l'iniziativa nella politica, nella produzione, nella distribuzione. Bambini, vecchi, donne: lavoratori e borghesi. 75 famiglie vivono del salario; 10 famiglie dello stipendio (burocrazia in senso lato); 15 famiglie di reddito capitalistico. La ricchezza totale è di tre milioni, e cioè di 6000 lire per abitante (calcolando ogni famiglia composta di 5 persone, padre, madre, due figli e un vecchio o ammalato, assolutamente improduttivo).
il reddito di questa ricchezza è frutto del lavoro dei proletari. Esso ha un valore monetario di 2250 lire al giorno, che sono spartite in questo modo: 850 lire alle 85 famiglie dei salariati e stipendiati, e 1500 lire alle 15 famiglie dei capitalisti.
In tempi normali le due parti oscillano continuamente: cresce la produzione, la moneta vale di più, serve ad acquistare più merce, aumenta il benessere relativo, crescono i bisogni, cresce la coscienza di essi, e quindi la domanda di miglioramenti. Per rendere questi possibili, la borghesia capitalista aguzza l'ingegno, migliora la tecnica, la produzione si moltiplica: la tesi e l'antitesi sviluppano il gioco delle loro forze che si sintetizzano in progressive accelerazioni nel ritmo del lavoro: queste accelerazioni sono le tappe storiche della società borghese che supera continuamente se stessa, ampliando il proprio respiro, attutendo per quanto è possibile i contrasti, cercando di soddisfare nell'ambito della propria conservazione tutte le domande, tutti i desideri, le volontà di sempre maggiore benessere, di sempre maggiore indipendenza e autonomia dei singoli.
Ma i rapporti giuridici di classe rimangono inalterati, perché è regola matematica che mutando in proporzione eguale i membri di una equazione l'equazione non cambia. Il proletario sta a 1, come il capitalista sta a 100; se il proletario diventa 2, 3, 4, ecc., e i rapporti sono sempre 1 a 100, il proletario rimane proletario, il capitalista capitalista. 
[... ].( Alcune righe censurate) 
Il modello è uno schema, è vero; ha i suoi difetti e le sue angustie, è vero. Ma è poi così lontano dalla realtà? Nella vita normale lo scorbuto è una eccezione; ma sono eccezioni l'analfabetismo, la vita nei sottani umidi e infetti dell'Italia meridionale; sono eccezioni i casi di tubercolosi fra le tessitrici, la mancanza di ogni possibilità di vita spirituale, la necessità di far lavorare i bambini, e tutti gli altri malanni che ognuno può accertare da sé intorno a sé? Ebbene, per ognuno di questi malanni, è il modello che agisce, che detta le sue leggi, che stronca una parte dell'umanità, e col suo sangue purpureo avviva le vene degli acciaccati dell'altra riva, dà la possibilità del vizio, della malattia per crapula, a quelli dell'altra riva. Ecco perché proletaria
[….](alcune parole censurate)
è anche un dovere di morale comune.